LE DIMISSIONI DEL MINISTRO
Come noto nei giorni scorsi il ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca Lorenzo Fioramonti si è dimesso dopo aver compreso che non c’era da parte del governo la volontà di reperire i tre miliardi di euro richiesti dal ministro per finanziare il settore dell’istruzione e ricerca in modo da riuscire a tenerlo almeno appena sopra «la linea di galleggiamento».
Nel messaggio con il quale ha reso pubbliche le sue dimissioni ha spiegato che nessun Paese può più permettersi il lusso di ignorare che l’economia del XXI secolo si basa sul capitale umano, l’ambiente e le nuove tecnologie. Insomma la vera crisi economica italiana è dovuta alla perdita dei nostri talenti e alla mancata valorizzazione delle nostre eccellenze. E finisce per contribuire alla crescita di altre nazioni più lungimiranti della nostra.
LE REAZIONI POLITICHE
Riguardo le dimissioni del ministro dell’istruzione e dell’università i politici concordano sul “ruolo cruciale che non può essere lasciato scoperto”. Tradotto dal politichese non significa altro che una poltrona, ancor più quella a capo di un ministero, non può essere lasciata libera. Va occupata al più presto. L’emergenza non è la scuola, è assegnare al più presto il posto del dicastero dell’istruzione.
LA SPESA MILITARE
La pratica dei tagli ad una scuola sempre più in ginocchio fatta per finanziare altri comparti si conferma dunque, come avviene ormai da decenni, una costante delle scelte politiche italiane. E così come per qualche altro servizio pubblico come la sanità, la logica dell’emergenza è sempre consentita.
Non in altri comparti, primo tra tutti quello della difesa, laddove tutti sono per principio pacifisti e contrari alla corsa agli armamenti, ma quando dai banchi dell’opposizione politica si passa a quelli del governo e si tratta di difendere la sicurezza nazionale allora non c’è crisi né spending review che tenga. L’ennesima missione, fatta in nome della sicurezza nazionale, anche a costo di esportare democrazia fino all’altro capo del mondo, diventa sacrosanta e indiscutibile. E quindi via libera agli stanziamenti per il bilancio delle spese militari, non ci possiamo più tirare indietro, perché ormai tutto è già stato disposto da “quelli che c’erano prima” e le penali supererebbero la spesa già stanziata.
DIAMO I NUMERI
Forse qualche numero può essere utile per capire come stanno le cose. Secondo lo studio condotto da Milex, l’Osservatorio per le Spese militari, la sola missione militare in Afghanistan, che dura ormai dal 2001, è costata circa 7,7 miliardi di euro. A questa si aggiungono altri 2,6 miliardi spesi per mantenere il nostro contingente militare in Iraq dal 2003.
Siamo ottavi al mondo in quanto a spese militari. Rispetto al 2018, il bilancio del Ministero della Difesa passa nel 2019 da 20,9 miliardi di euro a 21,4 miliardi di euro (+ 2,2%). E’ vero che una fetta della spesa va alla sicurezza interna, perché quando parliamo di spese militari vanno considerate anche quelle per i Carabinieri schierati sul territorio e vicini ai cittadini. Tuttavia gli stanziamenti per l’Arma dei Carabinieri ammontano a circa 6,9 miliardi di euro e corrispondono a meno di un terzo del bilancio del Ministero della Difesa.
UNA MOSTRUOSA ANOMALIA
Analisidifesa.it parla di “esplosione” dei costi del personale delle forze armate e di una “mostruosa anomalia” costituita dal ruolo dei Marescialli, per cui il modello attuale con 170.000 militari costa più del precedente con 190.000 militari.
Sta di fatto che, in base ai numeri, le forze armate italiane sembrano popolate più da comandanti che da soldati. Abbiamo un generale ogni 418 militari laddove negli Stati Uniti ne troviamo uno ogni 1.564 militari. Agli ufficiali con 13 anni di servizio viene riconosciuta la retribuzione di un colonnello a prescindere dal grado effettivamente ricoperto e dopo 23 anni di servizio ottengono la retribuzione di un generale, sempre a prescindere dal grado effettivamente posseduto.
CAPPELLANI MILITARI VS. ISPETTORI TECNICI
Nel nostro Paese, a fronte dei 182 cappellani militari, ai quali viene riconosciuto uno stipendio mensile medio di 4.500 euro per un costo complessivo di circa 17 milioni di euro all’anno, il MIUR schiera attualmente non più di 70 dirigenti tecnici, meglio noti come ispettori. L’ultimo concorso per tale profilo risale al 2007 e fu reso possibile grazie ai risparmi sulla composizione delle commissioni degli esami di Stato della scuola secondaria di secondo grado. Bandiva 145 posti di dirigente tecnico da affiancare ai 29 già in servizio ma ad oggi ne sono stati assunti 58 su un organico che ne dovrebbe prevedere 335. Oggi, a distanza di dodici anni, è in dirittura d’arrivo un nuovo concorso per reclutarne altri 30.
IL CAVALLO MORENTE
Nel corso dei decenni raramente tutti coloro che a vario titolo si sono occupati di scuola hanno cercato di mettere i politici di fronte ad una realtà innegabile: non si fanno le nozze con i fichi secchi e non si riforma la scuola senza grossi investimenti, tantomeno operando tagli.
Valorizzare significa, letteralmente, dare il giusto riconoscimento. Quindi non si possono fare riforme basate sul contenimento della spesa scolastica. E quando c’è la volontà politica, i fondi si trovano.
Un ruolo non certo marginale in tutto questo lo ha anche avuto la miopia degli editorialisti e degli opinionisti tuttologi che periodicamente, dalle colonne dei quotidiani, raccolgono facile consenso grazie alle invettive sulla scuola. Anche loro il più delle volte si uniscono ai passanti che, vedendo per strada un cavallo allo stremo perché il suo padrone lo ha deliberatamente mal nutrito e sovraccaricato, suggeriscono argutamente al padrone del povero animale di affrontare la situazione prendendo a frustate il povero cavallo morente.
In questo quadro le dimissioni del ministro si spiegano come il disperato tentativo di far comprendere che il conto della scuola Cenerentola lo sta pagando, e continuerà inevitabilmente a pagarlo, la comunità. Disperato tentativo, viste le condizioni del cavallo.